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Museo del Design: e adesso che anche a Milano esiste?

29 Aprile 2019

Museo del Design: e adesso che anche a Milano esiste?

Seppur in ritardo, anche Milano ora ha il suo Museo del Design. Apre in Triennale il primo capitolo dedicato a una selezione di icone che meglio rappresenta capacità progettuale e creatività Made in Italy nel mondo. Dal primo dopoguerra agli inizi degli anni 80, l’allestimento curato da Joseph Grima affianca contesti storici a linguaggi formali. Polemiche, incertezze, critiche hanno accompagnato l’inaugurazione ufficiale. Meglio immergersi e capire.

Una città che non vuole farsi sfuggire di mano il primato di capitale mondiale

Mai soffermarsi alle apparenze, preferibile guardare cosa c’è dentro. In Triennale Milano la presentazione a stampa e addetti non certo aiuta a comprendere la valenza di un Museo del Design Italiano così atteso e così necessario in una città che non vuole farsi sfuggire di mano il primato di capitale mondiale. Che certi oggetti parlino da sé, ho forti perplessità. Se pensiamo a una platea erudita in materia, ci può stare. Ma se davvero si vuole attribuire al progetto un ruolo didattico e di salvezza per le masse, penso che la scelta di un allestimento così essenziale non sia sufficiente. Tranquilli c’è Mario Bellini che ci solleva, per lui nessuno tra amici e presenti conosce il significato di design, nonostante l’uso inflazionato del termine. E allora chissene. Egli stesso si mostra ignaro, un bel sospiro di sollievo, ma era una finta e ci umilia con un forms follows function. Pensavamo, invece lui lo sa!

Il Museo del Design Italiano, presenta i primi 200 oggetti

Il ruolo di traghettatore verso nuova luce e ossigeno per Triennale Milano espone il suo presidente Stefano Boeri a oramai cronicizzati imbarazzi. La linea minimal-essenziale scelta per l’Istituzione in generale sembra giustificare attitudini al risparmio, nonostante la dialettica spesso avalli discutibili scelte. Di fatto a lui il merito di aver voluto l’esposizione permanente e di averla realizzata in così poco tempo. Il Museo del Design Italiano, presenta i primi 200 oggetti parte di una collezione che ne annovera già 1600 e che si prefigge di acquisirne altri grazie al supporto di un comitato istituito ad hoc. Se vi chiedete cone faranno a starci, la risposta è l’imminente lancio di un concorso per la progettazione di spazi ipogei che aumenteranno la superficie espositiva, delle aree pubbliche e dell’archivio. Ma veniamo ai contenuti e a come approcciarli. Escludiamo il volume del borbottio di un’elite che negli ultimi anni continua a parlarsi addosso, dimentichiamoci le inutili chiacchiere e entriamo.

Pareti cerulee da leggere come pagine di un libro di storia

Il Museo del Design Italiano è al piano terra e occupa la curva del Palazzo dell’Arte. Molta luce, tanto bianco e pareti cerulee da leggere come pagine di un libro di storia. L’idea del curatore parte da qui. Lasciar parlare gli oggetti esposti senza troppe sovrastrutture cercando di capire contesti, storici, politici, economici, culturali e sociali durante i quali prendono forma, comprendendone quindi il linguaggio formale che li caratterizza.

“Casabella riprende le pubblicazioni in seguito alla sospensione da parte del regime fascista. Nasce il 33 giri. Giulio Natta e Karl Zigler sitetizzano il polipropilene isotattico, polimero termoplastico che avrà applicazioni nell’industria. 1957/60 il settore industriale italiano registra un incremento della produzione del 31,4 %, sono gli anni del boom economico. Inaugura la prima edizione del Salone del Mobile. Mary Quant inventa la minigonna”.

A Milano il primo tratto della Metropolitana. In Ashbury Street a San Francisco apre lo Psychedelic Shop, nasce la comunità Hippy. Esce al cinema il film di Stanley Kubrik 2001 Odissea nello Spazio. MITS lancia sul mercato Altair 8800, padre dei personal computer. Intel lancia 4004 primo microprocessore al mondo. Pubblicato in Giappone il videogioco Pac Man. Apre la prima fabbrica Coca Cola in Cina. I Queen e David Bowie pubblicano Under Pressure…”

Il periodo di maggiore influenza del design italiano nel mondo.

Solo alcuni degli approfondimenti che accompagnano il visitatore tra le opere che segnano il periodo di maggiore influenza del design italiano nel mondo. Si cammina tra mobili, complementi d’arredo, oggetti, fotografie, pubblicità del tempo e packaging originali. Le icone ci sono tutte. Dalla Arco a RR126 dei fratelli Castiglioni. Dal Pipistrello di Gae Aulenti alla Sacco prodotta da Zanotta.

Da UPC6 di Gaetano Pesce a Joe progetata da Jonathan De Pas, Donato d’Urbino e Paolo Lomazzi per Poltronova. Dalla Bocca di Studio65 per Gufram all’Abitacolo di Bruno Munari.

Non raccoglie solo icone

Ma il Museo del Design Italiano non raccoglie solo icone. Spesso non attribuiamo a oggetti che ancora oggi sono di uso comune o che ci hanno accompagnato nella quotidianità per decenni, la ricerca, lo studio, un progetto o un progettista. Eppure qui se ne trovano tanti che in molti riconoscono e che hanno utilizzato o ancora utilizzano. Si parte dal basso, diciamo così, con Cucciolo di Makio Hasuike che da sempre ci accompagna nei momenti solenni della giornata e si arriva ai compagni inseparabili di avventure ad alta quota ideati da Giancarlo Zanatta per Tecnica, i Moon Boot.

Avvicinandosi agli anni 80 si avverte che qualcosa sta cambiando

Dall’anterpima per la stampa ad oggi sono passato al Museo del Design tre volte. Inutile chiedersi già finito? Il progetto si presenta in modo chiaro. Questo è solo il primo capitolo. Il lavoro di selezione e ricerca continua. Invito chi legge a non perdersi questa prima parte. Avvicinandosi agli anni 80 si avverte che qualcosa sta cambiando. Il minimalismo del decennio precedente sta per essere scardinato. Sottsass chiama a rapporto i colleghi Zanini, Thun, Bedin e Cibic e tra le pareti della sua casa danno vita al collettivo Memphis. Alla prima Mostra, organizzata nel settembre del 1981 da Arc74 in Corso Europa a Milano, c’erano anche Mendini, Branzi, e Isozaki. Il buon design dall’aspetto poco brillante giungeva al capolinea. Spazio alla normalità plastica quasi scontata e sicuramente poco colta e per nulla intellettuale, ma vivace per la massa.

Da quel momento in avanti tutti nel mondo vorranno fare design italiano

L’immagine di quella sera chiude il primo capitolo. Da quel momento in avanti tutti nel mondo vorranno fare design italiano. Non mi accingo verso l’uscita, torno indietro per scattare altre foto e nel contempo osservo. Parecchi visitatori, nessuno che legge la storia scritta sulle pareti. Ma soprattutto nessuno si accorge di un’altra idea che considero azzeccata. Certo vive la frustrazione del suo essere analogico in un era digitale. Ma quel telefono Grillo disegnato da Marco Zanuso che ogni tanto fa capolino al fianco di alcune opere, funziona. Basta comporre il numero indicato utilizzando la ghiera e si entra in contatto con la viva voce di alcuni dei progettisti. Una vecchia cornetta che stabilisce connessioni e crea interazioni, per i millenials quasi impossibile da credere.

Affiancare la storia del design a linguaggi aggiornati

Se mi fosse consentito di dare qualche suggerimento per il Museo del Design Italiano, spingerei per una comunicazione più ficcante, immediata, diretta e appealing soprattutto per i giovani. Nel dibattito incentrato sul ruolo del progetto nelle questioni sociali e ambientali bisognerebbe smetterla con la filosofia e cercare di affiancare la storia del design a linguaggi aggiornati in grado di interfacciarsi con le nuove generazioni, più orientate al do it now. I grandi maestri sono e continueranno ad essere granitici punti di riferimento. A quelli futuri si deve dare spazio e voce. Prima di uscire vengo attratto da un gruppo di studenti e una voce quasi mi emoziona. Quattordici anni circa e la sua osservazione sull’essenzialità delle linee geometriche completava la descrizione della Superleggera di Gio Ponti raccontata da Lorella Belli, la sua professoressa. E allora vai con la foto di gruppo alla Prima E del Liceo Artistico Caravaggio.