BDW 2019

Bologna: quando non c’era la Design Week

18 Settembre 2019

Bologna: quando non c’era la Design Week

Sta per aprire i battenti la Bologna Design Week 2019. Un nuovo capitolo che segna una significativa maturità culturale. Elena Vai, curatrice artistica, racconta in esclusiva a Funkdesign.it un programma ricco di iniziative, ma soprattutto incubazione, genesi e sviluppo di un progetto complesso. Dagli anni 80 ad oggi, La Dotta scrive il suo futuro nella transizione. Dagli anni di piombo all’era del grande fratello, la città diviene avamposto di rigenerazione urbana e riattivazione umana. Una macchina del tempo che accomuna attori diversi e attiva approcci relazionali.

La necessità di trovare linguaggi comuni

Quando ho incontrato Elena a giugno, ero reduce dalle fatiche della Design Week milanese e in virtù del fatto che avevo organizzato un talk dal titolo “Il Fuorisalone prima del Fuorisalone” ho voluto mi raccontasse la nascita della Bologna Design Week. L’ho tenuta a battesimo alla prima edizione, ma ignoravo una trama fitta di implicanze sociali.

Nel dibattito sulle metamorfosi contemporanee la città ha sempre sentito la necessità di trovare linguaggi comuni e convergenze di prospettive per combattere l’appiattimento culturale e rigenerarsi. Festival e mostre-mercato hanno messo in atto pratiche di riattivazione in luoghi dismessi”.

Eventi temporanei, prototipi di futuro sono stati i banchi di prova per la sperimentazione di metodologie innovative e di processi design driven di riabilitazione del tessuto urbano. Esperienze bottom-up sinonimo di azionismo scalabile, sostenibile e di progettualità diffusa.

Percorsi didattici per offrire stimoli e creare occasioni non solo ludiche

L’intera regione, che già nella prima metà degli anni 70 aveva importato il modello dei club newyorkesi, creava un’industria del divertimento divorata poi nel giro di tre decenni dalla cultura dello sballo. Nel 2008, Bologna risponde con la prima edizione di Robot Festival. Esce così dal format del clubbing e approda a inedite modalità di fruizione della musica. Innova un modello, amplia gli spazi, cerca nuovi pubblici; progetta percorsi didattici per offrire stimoli e creare occasioni non solo ludiche. I luoghi giocano un ruolo chiave. L’idea di avvicinare le persone fisicamente, per esperire performing art e musica elettronica. consente agli organizzatori di trasferire i contenuti del festival in spazi istituzionali.

L’humus fertile di giovani artisti

La crisi mondiale dell’editoria negli anni 10 è la scommessa che Bologna, città di storiche case editrici, vince. È in questo contesto che nel 2012 nasce Fruit Self Publishing Exhibition. Eredita un pubblico lasciato orfano dalla chiusura di Artelibro e inaugura un modello di mostra-mercato che scommette sull’humus fertile di giovani artisti. Negli anni si trasforma in progetto indipendente e si afferma come punto di incontro di giovani autori, editori indipendenti, graphic designer, appassionati di caratteri mobili e di stampe serigrafiche. Nel 2018, il restyling del nome in Fruit Art Book Fair, il consolidamento della reputazione e 100 espositori.

Gli uffici dell’autostazione delle corriere, abbandonati in uno stato di degrado

Sempre nel 2012 Alice Zannoni, Marco Mangani e Simona Gavioli, sul modello di Just Made, danno vita a Set Up Contemporary Art Fair e creano a Bologna quello che non c’era. Una collaterale di Arte Fiera dedicata a galleristi, curatori e artisti non ancora affermati. Le nuove leve incontrano così i collezionisti attraverso progetti curatoriali che li affiancano a critici under 35. Pochi gli spazi temporanei adeguati ad ospitare l’evento, da qui la conseguente decisione di utilizzare gli uffici dell’autostazione delle corriere, abbandonati in uno stato di degrado. 2.400 metri quadrati, 23 gallerie, 123 artisti. Si contano 8.200 visitatori che pagano 3 euro l’ingresso, 100.000 euro è l’incasso dei galleristi. Fortemente osteggiata dal presidente di Bologna Fiere, riceve invece il sostegno da parte di Achille Bonito Oliva che tiene un talk e Alessandro Bergonzoni che regala una performance.

Tra le 60 mete del design Bologna è però assente

E la Design Week? Per questa dobbiamo fare un balzo all’indietro nel 2002. Art Basel si sdoppia e va a Miami con la collaterale dedicata all’art design. Una rassegna di oggetti di design a tiratura limitata, realizzati da designer e aziende consapevoli del tramonto della mass production. Nella pubblicazione che segue l’evento, tra le 60 mete del design, Bologna è però assente, nonostante un destino scritto già alla fine degli anni Cinquanta, quando l’imprenditore Dino Gavina invitava i fratelli Castiglioni, Carlo e Tobia Scarpa, Fontana, Man Ray e tanti altri a disegnare prodotti, oggi conservati nei musei dI tutto il mondo.

L’atlante delle città del design è stato principio ispiratore

Ricollocare Bologna nell’atlante delle città del design è stato principio ispiratore di un primo format. Design First, proposto da Elena Vai ed Enrico Pastorello nel 2009 alla curatrice di Arte Fiera, da affiancare a Art First, continuava il percorso già attivato negli anni nelle gallerie del centro città. Era l’analisi nostrana del legame che intercorreva tra arte e design contemporanei, di un approccio generato dalla medesima estetica e offriva un percorso itinerante in showroom e spazi creativi.

Creare una piattaforma che permetta l’incontro tra designer e produttività locale

Un progetto ostacolato a tal punto, che dopo sette anni, nel 2015, in concomitanza con la fiera Cersaie, i soci inaugurano Bologna Design Week, credendo ancora nella necessità di creare una piattaforma che permetta l’incontro tra designer e produttività locale. Obiettivi molteplici sin dagli esordi: individuare spazi in disuso per farli rivivere attraverso installazioni temporanee; creare legami con le istituzioni culturali della città per la creazione di contenuti inediti; promuovere usi non convenzionali per coinvolgere nuove platee; disegnare un ecosistema di industrie culturali e creative attraverso principi di co-design e di progettazione partecipata, per valorizzarle attraverso 6 giorni di incontri, promossi da strumenti di comunicazione multipiattaforma.

Aprirsi alla collaborazione in processi plurali che diventano generatori di cambiamento

Oggi, alla vigilia della quinta edizione la Bologna Design Week prosegue il suo cammino sulla via della ricerca per sperimentare modelli inediti e testare prototipi. Un processo che attinge alla capacità di mediazione tra i saperi che il design incarna, alla riattivazione temporanea che fa appello all’umanità delle nuove relazioni che si creano. La città con la sua settimana del design mette volutamente in crisi l’identità di contenitori e persone. Invita a mettersi in gioco nel creare contenuti site specific e ad aprirsi alla collaborazione in processi plurali che diventano generatori di cambiamento. Bologna con il suo coraggio vi sta invitando nella Citta delle Meraviglie. Dal 23 al 28 settembre.

Funkdesign.it, media partner ufficiale, seguirà l’evento day by day da lunedi 23 a sabato 28 con post sul blog , su Instagram, con le IG Stories, e con live e updates sulla pagina FB, e sul mio profilo personale di FB. Stay Tuned!

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